I copertoni
sembrano avere una vita infinita una volta che vengono abbandonati lungo una
strada.
Mantengono
il loro bel colore scuro, lo stesso dei fumi delle zone industriali: risaltano
in certi cieli sereni, vivi, calpestando gli ordini di bellezza che per forza
devono governare un pianeta.
Ho pensato
di scrivere di un pianeta degno di uomini, ma è un ossimoro.
Non voglio
sostenere la banalità del contrario, non ne ho voglia, è un periodo in cui
certe carte lungo strade, tra le piante – forse è primavera e tutto stona con
la fantasia di questi colori nuovi, non riesco proprio a tollerarle.
Lavatrici
dal ventre squarciato, frigoriferi senza portelle, mobili ammassati e chiaramente
fuori luogo: pensiamo a quanto tempo passiamo a spolverarli, spostarli per dare
una nuova idea a una stanza, per poi finire lungo una strada a prendere
polvere, acqua, secchi pieni cose assolutamente inutilizzabili.
Libri
stracciati.
Copertoni,
appunto.
Un
pomeriggio di un po’ di mesi fa ebbi la cruda esperienza di chiacchierare con
un poeta e scrittore (pugliese) andato in malora, mi disse una cosa ovvia ma
che mi sorprese. Riferendosi alla sua casa piena di cartacce, confezioni di
cibo andato a male, polvere, muffa e altre cose ugualmente poco incoraggianti, disse: "A forza di conviverci, questo caos mi è entrato nella testa".
Ora, a forza
di conviverci, la bellezza – della Murgia, ci è entrata per forza nella
testa; ugualmente, questo gusto deturpatore con cui viviamo e che certe volte
governa tutto, ce l’avevamo già. In testa.
Non mi
spiego del tutto il coraggio con cui
abbandoniamo vecchi divani sfondati lungo una strada, in un campo abbandonato;
non mi spiego certi cartelli in cui si dice che è assolutamente (!) vietato abbandonare
rifiuti.
E’ il gioco
dell’ovvio questo.
La Murgia
che vogliamo è un territorio incontaminato, un luogo da esplorare, un posto si della
mente, ma di una testa disabituata al caos.
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